lunedì 15 giugno 2009

La sciamana celeste

"STAMATTINA" (Anna Maria Gabelli...il 12 febbraio a Cisternino)
foto di Gianna Tarantino

-Pronto? Lia devo darti una notizia triste… kali è morta.
La voce femminile entrò nell’orecchio di Lia e scivolò veloce, all’interno, posandosi lieve sulla colonna vertebrale.
L’annuncio era drammatico, mostrato con l’afflizione del pianto trattenuto, ma a Lia era invece sorto dal centro del cuore un istante d’arresa.
-Non dobbiamo essere tristi, bisogna accompagnare kali dolcemente al distacco e secondo i suoi dettami, non è l’anima in disperazione, ma un sorriso di gioia che necessita inviarle.
Dopo che Nuccia ebbe riattaccato il telefono, Lia si guardò intorno, aveva voglia di un abbraccio, per un momento solo si scusò con kali, lasciando che una lacrima scivolasse sul suo viso.
Si sedette a gambe incrociate e liberò la corrente dei ricordi.
Negli ultimi tempi il corpo di kali era stanco e affaticato dalla malattia. L’ultima volta che l’aveva incontrata era accaduto nel suo trullo di campagna.
In quella tenuta di pace, dove persino l’insignificante filo d’erba racconta la passione della terra, dove i colori danzano nella lucentezza delle case coniche e bianche.
In quella dimora dalla porta aperta, dove l’accoglienza era il silenzio, oppure il chiacchiericcio degli ospiti, che da ogni dove, giungevano a far visita alla sapiente kali.
L’ultima volta che aveva visto kali, l’aveva guardata nella sua magrezza e pallore, ma sempre bella, nonostante le brutte condizioni fisiche, negli occhi scuri e grandi, nel portamento fiero nell'eleganza della semplicità.
Le aveva fatto leggere la poesia "Kali la terrifica gloriosa" e lei aveva sorriso con pace.
Kali, shiivaita, dalle lunghe mani, da quelle movenze particolari, che la rendevano radiosa e terrifica al contempo, ma anche popolana, quando piegava le braccia poggiando i palmi sui fianchi, a mo di sfida o di scherno.
Il suo accento campano, che non aveva mai perso, nonostante gli studi accademici, la sua devozione per l’India, la sua cultura cosmopolita e la permanenza in Puglia.
Le labbra, il collo, la pelle abbronzata, i suoi vestiti lunghi e i suoi piedi nudi, l’immancabile stupore, gli scoppi di risa improvvisi come guizzi, quel tocco di gran femminilità che aveva nel toccarsi le ciocche dei suoi capelli, sensuale come poche donne a settanta anni, con un voto, forse, mai concordato, di castità.
Kali sposa, poi separata, kali madre, kali docente universitaria, kali la folle, con la ferita, che neppure mille altari di tutti gli dei possono ricucire, quello della perdita di un figlio, eppure kali era riuscita a sopravvivere a questo grido del cuore e a tanti altri, avvenuti nella sua non facile infanzia.
La morte l’aveva affrontata da guerriera che era, con validi ragionamenti e con le esperienze potenti, vissute a fianco di grandi guru viventi.
Ogni suo gesto, posa, sguardo e sillabe erano la resa simbolica di ogni illusione, kali la dea di carne.
Com'era kali da morta?
Per un momento Lia si fermò qualcosa le impediva di sentirsi a suo agio.
Nella mente un piccolo fiore si librava dall’asfalto, restando nell’immobilità della polvere, più avanti un albero con le gemme, l’odore dell’inverno era ancora intenso, eppure avanzava
quell’ entusiasmo, che la natura manifesta nelle sue contraddizioni.
Così si sentiva Lia un poco tradita da quella morte improvvisa, gonfia di domande che non riuscivano ad essere formulate.
Un’ora prima era riuscita ad essere se stessa, a consolare il dolore di Nuccia magicamente, a dirigere le emozioni, come le aveva insegnato kali.
“Non lasciamo che gli eventi ci traffichino”, era solita dire kali, “lasciandoli entrare nella pancia, con un colpo duro, che schiaccia e avvilisce. Quando riceviamo una brutta notizia, facciamo in modo che la sua energia non entri nel fisico, poniamoci di schiena per restare neutrali”. Questo pronunciava kali.
Lia era riuscita a mettere in pratica questa tecnica d'autodifesa spirituale.
Ora aveva perso un poco il controllo e le si presentò davanti, tutta la sua fragilità.
S’impadronì di lei, il giudizio, nato dalla paura e dal dubbio.
Perché kali, donna di conoscenza profonda, ricercatrice attenta ed equilibrata si era ammalata di cancro? Aveva permesso la sua violenta penetrazione sino a quella devastazione, fatta di ricoveri, consulti medici, ipotesi operatori, probabili terapie invasive?
Un protocollo che kali però aveva rinnegato, per le sue scelte di guarigione non violenta, rifiutò lo strazio chirurgico e la conseguente brutalità della chemioterapia.
Che cosa voleva o poteva comunicarci la morte di kali? Lei che viveva vivendo e che durante la sua malattia disse ad Lia che nonostante si è vecchi e sazi di combattimento, si è degenti, sofferenti, la brama d'esistenza è difficile da sedare.
Lia pensava a voce alta e intanto non riusciva ad immaginarla in una bara, il suo corpo avrebbe meritato il fuoco, il suo dissolvimento e il suo divenire più vicino all’eterico.
Ignorava Lia l’ora del decesso e la modalità rispetto al funerale.
Ormai pensava a ruota libera, immaginando, kali avvolta in sari coloratissimi, con il capo coperto da uno scialle di seta color cielo sereno e intorno al suo collo rugoso, un rosaio indiano di sandalo, profumatissimo.
Chi aveva lavato e vestito il suo corpo? A quale delle tante amiche-sorelle di mamma kali era toccato farlo?
Kali nel suo letto bianco con intorno, fanciulle scalze, che cantano, danzano suonano l’inno dell’addio terrestre. mentre per tutta la Valle d’Itria, si diffonde come un mantra, la voce: “kali ha passato il velo”.
Chi farà da gattara all’intera colonia di gatti, che kali ha lasciato momentaneamente orfani?
Domande concrete confuse a fantasie, si erano impadronite di Lia, che continuava a starsene seduta a gambe incrociate.
“Kali, una perla nascosta nel giardino di casa”, questa frase detta da Giuse, una delle tante volte che si narrava di donna kali, riuscì finalmente a zittire il frastuono mentale di Lia.
Finché non socchiuse gli occhi e lentamente meditò sull’impermanenza.
"Se io muoio non piangere per me, fai quello che facevo io e continuerò vivendo in te. .... Traduzione"People have the power"di Patti Smith. ...






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